Alan D. Altieri - La Sindrome di Wolverton

Vers. 2007

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  1. Russell Kane
     
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    La Sindrome di Wolverton
    racconto di
    Alan D. Altieri



    * * *

    caos, n, m (dal greco chaos, fenditura)


    Caratteristica di quei sistemi dinamici che presentano un’evoluzione ad alta complessità multi-dimensionale. In detti sistemi, variazioni anche minime innescano enormi mutamenti nell’evoluzione successiva.



    * * *
    Nel ventre profondo del ghiaccio si contorceva un fuoco.
    Il respiro torrido delle fiamme sciolse placche congelate. Mise a nudo speroni di basalto dal colore plumbeo. Rivoli d'acqua torbida, fumante, colarono a riempire le depressioni simili a crateri che costellavano il terreno torturato dagli elementi. Il vapore livido dalla ricondensazione si mescolava al fumo degli incendi. Si fondeva con le esalazioni mefitiche degli isolamenti divorati dal calore. Formava un unico miasma con il lezzo acre della carne umana bruciata.
    Strutture, oltre quella mescolanza irrespirabile. Simili a lapidi di un cimitero dissacrato.
    L’uomo emerse da uno squarcio nella parete semi-cilindrica del Blocco Principale, sventrato dalle esplosioni. Torace coperto di arabeschi di sangue raggrumato. Nudo come un verme nella morsa da annientamento dei quarantadue gradi Celsius sotto lo zero.
    Camminò sempre più lontano dal fulcro degli incendi. Aggiro’ mucchi di rottami irriconoscibili ancora in fiamme. Avanzo’ sulla fanghiglia gelida che stava già cominciando a solidificarsi. Anche l'altro sangue, quello ancora fresco che scintillava sulle sue labbra, sul suo mento, cominciava a solidificarsi.
    L'uomo nudo raggiunse la piattaforma di atterraggio per elicotteri. C'era una lastra di acciaio al molibdeno incassata nella massiccia fondazione di cemento armato. Sull’acciaio, un emblema inciso a fuoco. Un'ellisse tagliata in diagonale da una folgore. Sotto l'emblema, una scritta.

    STAZIONE WOLVERTON
    GOTTSCHALK-YUTANI OIL
    84° 39' 27" latitudine sud
    152° 22' 45" longitudine est



    L'uomo fece scorrere la mano sinistra, tremante di freddo, alla superficie dell'acciaio. Traccio’ su di essa quattro dita insanguinate. Chiuse la mano a pugno su una delle corte stalattiti di ghiaccio che pendevano dall'orlo inferiore della lastra. I muscoli del suo avambraccio si contrassero. Crack!
    L'uomo nudo lottò contro il vento paralizzante che soffiava dall'Altopiano Sohm. Riuscì a scalare i pochi gradini di grigliato metallico. Andò a inginocchiarsi esattamente nel centro della grande lettera H di riferimento, acceso day-glo giallo. I suoi occhi erano una ragnatela di capillari esplosi. Si sollevarono al cielo accecante. In qualche modo, ignorando la frusta del vento, sconfiggendo il pestare frenetico dei suoi denti arrossati, l'uomo nudo riuscì addirittura a sorridere.
    "Tutti a Disneyland del cazzo!"
    Diede un colpo dal basso verso l'alto, uno solo. Guidò la stalattite a sfondare la propria gola, a squarciare la carotide da parte a parte. Caldo, scintillante sangue arterioso eruttò sulla piattaforma. Presa nella morsa dei meno quarantadue Celsius, l'emorragia terminale divenne una cristallizzata dispersione purpurea contro la sfumatura perlacea del ghiaccio.
    Rohrshach scaleno uscito da un incubo.

    * * *

    Non esisteva alcuna immagine riconoscibile in quella configurazione congelata.
    O se anche esisteva, Keller non riuscì a trovarla. Qualcun altro della squadra, quasi certamente Doc, ha parlato di memoria dell'annientamento passato. Di cronaca della demolizione ancora a venire. A lei, la configurazione continuava ad apparire come una informe traccia rossastra sulla lega meso-termica della piattaforma di atterraggio. Neppure il calore delle turbine dell'elicottero pesante Sky-Dragon che ha scaricato lei e la squadra di soccorso era stato in grado di cancellarle. Compiendo uno sforzo d'immaginazione, quella macchia avrebbe potuto essere essere l'epitaffio per un uomo morto. Niente di nuovo. Non là, sull'ultima frontiera della Terra.
    Antartide.
    Deserti di ghiaccio e cordigliere inviolate, abissi insondabili e delo letale. L’Antartide continuava a inghiottire uomini, strutture, macchine. Era la natura del continente. Era la sua costante storica.
    Keller serrò ma mascella. Forse le avevano dato quella missione per punirla dei suoi peccati. O forse perchè non avevano nessun altro da punire. Stazione Wolverton: salma devastata, bruciata. Trovare una risposta non faceva più nessuna differenza. In un futuro ignoto, è sempre Doc a parlare, tutti gli uomini, tutte le strutture e tutte le macchine sarebbero svaniti. La loro stessa memoria sarebbe stata cancellata.
    Meno che cenere nel vento.
    Solamente l'Antartide sarebbe rimasto.
    Keller abbassò il cappuccio del parka. Affrontò a capo scoperto il vento dell'Altopiano Sohm. Sfidò il sole che martellava dal vasto squarcio nello strato dell'ozono. Luce virata all'azzurro, satura di raggi UV ad alta energia. Illuminava un altro epitaffio, lasciato per altri uomini morti.
    Le tempeste hanno spento gli incendi, disperdendo le ceneri nel vuoto gelido. Altre tempeste hanno continuato a flagellare le rovine. La neve è penetrata negli spazi sventrati, ricoprendo i cadaveri, trasformandoli in macabre mummie contorte. Stazione Wolverton: solo un’ennesima salma dell’umana presunzione, risucchiata nel ventre del ghiaccio.
    Non avrebbe dovuto accadere.
    Non a Gottschalk-Yutani Corporation, mastondodico, onnipotente mega-conglomerato planetario. Non a quel suo orgoglioso avamposto, prodigio di tecnologia avanzata, stato dell'arte dell'esplorazione geologica del continente polare australe. Eppure È accaduto. Qualcuno, o qualcosa, si È spezzato. Qualcuno, o qualcosa, ha sterminato tutti. Oppure tutti si sono sterminati gli uni con gli altri.
    Schizofrenia-paranoica-distruttiva-e-o-autodistruttiva-indotta-da-estremo-isolamento.
    Ha già generato molte altre salme, in molti altri luoghi, in molti altri tempi. Ulteriore costante storica. Wolfgang Nicholaus Gottschalk e Akira Saburo Yutani, co-imperatori del mega-conglomerato, lo sapevano. Il resto delle teste d'uovo di Gottschak-Yutani Corporation lo sapeva. Anche Keller, Ispettore di Prima Classe, Gottschak-Yutani Security, lo sapeva. Rapporti operativi, statistiche comportamentali, profili psicologici.
    Troppo remoto-troppo solo-troppo isolato-troppo compresso.
    La mente umana, nella sua enorme fragilità, precipita nel sonno della ragione, genesi dei mostri. È il punto di rottura, il limite critico oltre il quale la connessione con una realtà alienata si trasforma in furia di annientamento. Nel passato, quel limite critico era stato definito in modo univoco e inequivocabile. Pazzia omicida. Qui e ora, 84° 39' 27" Latitudine Sud, 152° 22' 45" Longitudine Est, Terra Victoria, Antartide, proprietà privata di Gottschalk-Yutani Oil, ha un nome diverso.
    Sindrome di Wolverton.


    La configurazione matematica sul monitor LCD a scansione laser, aveva la forma di una medusa abissale. Aveva anche un nome.
    Attrattore, attrattore caotico.
    Dalla cuspide superiore, i percorsi nello Spazio delle Fasi si dilatavano su traiettorie approssimativamente ellittiche. Nella discesa successiva si torcevano secondo una qualche impenetrabile simmetria a troppe dimensioni, stringendosi gli uni sugli altri, comprimendosi verso la piega topologica d'inversione.
    "Specchio, specchio..."
    Oltre il punto di rovesciamento, l'attrattore si allungava in una specie di stelo, ramificandosi in un labirinto di curve chiuse simili a tentacoli. Curve si torcevano in senso ascendente e risalivano, tornando a chiudersi nella testa della medusa.
    "... Parlami delle ombre fuori del Castello."
    Meccanica del Caos. Allo stato puro. L'equazione che generava la struttura giaceva nel campo dei numeri iper-complessi. Dimensioni dentro altre dimensioni, dyad dentro altri dyad. Uno scivolamento ineluttabile, inesorabile verso l'infinito.
    "Le ombre, mio Signore, non sono fuori del castello..."
    Doc si rilassò contro lo schienale della poltrona anatomica, lacerato da chissà quale arma da taglio. L'infinito non-è una soluzione. Non è nemmeno una risposta.
    "... Sono dentro il castello."
    Stazione Wolverton, Sala Controllo, fermata intermedia verso il fondo della demolizione. Keller, Doc e il resto della squadra d’emergenza hanno trovato un vero e proprio antro dell'orrore. Corpi e parti di corpi avvolti dal ghiaccio. Litri di sangue congelato ad affrescare gli strumenti. Pareti di contenimento sventrate. Attrezzature fatte a pezzi.
    Doc alitò fiato caldo le punte delle dita, intirizzite nei guanti a isolamento multiplo. L'aria, nella Sala Controllo, continuava a essere gelida come quella di un sepolcro. Dieci, forse quindici Celsius sotto zero.
    McFarland e Kravchenko sono riusciti a tamponare le falle all'involucro di contenimento, fermando il freddo antartico. Forse. Sono anche riusciti in altre imprese. Riaccendere le caldaie, fare ripartire il generatore della potenza elettrica, riconnettere le batterie di emergenza. Nella salma di Wolverton, la luce brilla di nuovo, il calore sta tornando. Ci voleva comunque tempo per risalire dal ventre del ghiaccio. Molto tempo. Forse troppo.
    Doc aveva riattivato l'unico terminale superstite del computer mainframe. L'attrattore caotico a forma di medusa era la’ dentro, nei parametri della memoria centrale. Fantasma cibernetico di distruzione schizofrenico-paranoica in attesa, forse in agguato. Continuava a evolversi, una configurazione dopo l'altra, un livello d'infinito dopo l'altro.
    Distorsione.
    Qualcosa, nel profondo degli uomini e delle donne di Wolverton, ha imboccato la strada sbagliata. Qualcuno di loro ha isolato la distorsione e ha cominciato a studiarla. Alla ricerca dell'elemento primario della mutazione. Qualcuno di loro è arrivato addirittura al sistema matematico che la descriveva matematicamente. Forse, trascinato nell'eruzione di furore omicida, non ha fatto in tempo a trovarne le cause. O forse invece le ha trovate.
    Per questo ha scelto di andare a impalarsi su una stalattite di ghiaccio.


    "Adesso, Kravchenko: riprova a dare contatto."
    Il motore elettrico sibilò nell'aria glaciale. Da qualche parte nelle viscere meccaniche a turbo-compressione, qualcosa sussultò, esitò, sussultò di nuovo. Alla fine, si avviò con un ruggito.
    "E spunteranno le palme al Polo Sud" nell'intercom pieno di statica, la voce di Kravchenko oscillava tra incredulità e ammirazione. "Ce l'hai davvero fatta, Mac!"
    McFarland tornò ad serrare i bulloni della placca di avviamento. Si trascinò fuori da sotto il Gottschak-Yutani Mekanics Mark-5, nome-codice T-meK. Un autoblindo pesante da combattimento trasformato nel conclusivo gatto delle nevi per l'Antartide.
    "Lasciamolo girare, Kravchenko."
    "Ci sto. Chissà che non ce ne andiamo prima, da questo obitorio congelato."
    Stazione Wolverton, reparto tecnico. McFarland si rimise in piedi, senza rispondere. Staccò dalla barba grumi di olio di macchina congelato.
    La massa squadrata del T-meK torreggiava nella rimessa meccanica. Quarantamila cavalli di potenza. Il ruggito del turbo-diesel faceva vibrare l'intera struttura del bunker di cemento armato.
    Kravchenko emerse dalla botola superiore del cingolato. Si lasciò scivolare lungo la corazza. Il pavimento era disseminato di bossoli di armi automatiche, di detriti informi, di frammenti di ghiaccio.
    "Ehi, Mac, ci hai pensato?"
    "A cosa?"
    Kravchenko fece un cenno del mento. Un cadavere mutilato, irrigidito dal gelo, giaceva a qualche passo dalla soglia della porta interna.
    "Nessuno di loro ha nemmeno cercato di scappare."
    "Non esiste nessun posto in cui scappare."
    Lo sguardo di McFarland si spostò sull'Altopiano Sohm. Scintillante, letale distesa di vuoto oltre il portale del bunker.
    "Non è mai esistito."


    Cristalli a prova di proiettile, incrostati da ragnatele di sangue solidificato. Al di la’, dominava un chiarore alieno.
    Troppe frequenze elettro-magnetiche nel campo del visibile e dell'invisibile mescolate le une dentro le altre, le une ad amplificare le altre. Il sole polare scintillava sulla desolazione di ghiaccio. Riflessi abbacinanti alteravano le parallassi, distorcevano i punti di riferimento, comprimevano la profondità di campo.
    Bartolini sentiva gli occhi che lacrimavano. Tornò ad abbassare gli spessi occhiali protettivi. Impossibile reggere senza occhiali. Non contro quella luce, biglietto di sola andata per la cecità ambliopica.
    "Bartolini, mi ricevi?" Doc, intercom, Sala Controllo.
    "Bart in linea."
    "Come andiamo con quell'analisi sulla componente ultravioletta atmosferica?"
    "Ci sto ancora lavorando."
    "Non farmi aspettare il prossimo periodo interglaciale, okay, Bart?"
    "Molto divertente."
    Bartolini chiuse il contatto. Studio’ il flusso di dati che scorreva sul monitor del computer logistico. Diagrammi di temperatura, termini barometrici, velocità e direzione dei venti dominanti, alternarsi nella aurore boreali, oscillazioni nel campo magnetico terrestre.
    Stazione Wolverton, Centro Meteo, cripta claustrofobica zeppa di strumenti. Il furore omicida non l’ha risparmiata. Per riuscire a entrare, Bartolini è stato costretto a fare forza sull'unica porta metallica, spostando un altro cadavere irrigidito.
    Lentamente, con la caldaia in funzione, il calore continuava ad affluire dentro Wolverton. Solo questione di tempo, non molto tempo, prima che il ghiaccio attorno a quel corpo, attorno a tutti gli altri corpi, si sciogliesse. Piccoli fiumi rossi avrebbero gorgogliato lungo i raccordi di connessione, giù per le scale d'acciaio, dentro le sentine di quella salma maledetta nel ventre del ghiaccio.
    Beep.
    Il computer logistico-atmosferico della Stazione Wolverton.
    Stava lanciando un avvertimento.


    Da qualche parte, nella rimessa-bunker, oppure fuori, nella terra di nessuno tra i quonsets cavernosi di Wolverton, spettrale icona al delirio dell'auto-annientamento, il motore del T-meK continuava a ruggire.
    Keller agì sulla leva idraulica. Sigillò il portello dell'accesso principale della base. Eresse una barriera contro la dura vibrazione della turbina del tank. E dal freddo a meno quaranta. Secondo ogni logica, la Stazione Wolverton avrebbe dovuto essere livellata con i caterpillar, i suoi resti sepolti in una voragine senza nome.
    Tutto sbagliato.
    C'è un oceano nero sotto l'Antartide.
    Grandi echi elettromagnetici rilevati dall'orbita, rilevati dai raggi-X a penetrazione profonda dei satelliti geo-stazionari Econ-Com. Petrolio. Miliardi di barili. L Per estrarlo, sarebbero state perforate rocce antiche quanto la Creazione. Per portarlo in superficie, le trivelle avrebbero demolito ghiacci che avevano sconfitto le Ere della Terra. Nulla di tutto questo ha nessuna importanza. Non nel nome del'affare del Terzo Millennio.
    Gottschalk-Yutani Corporation, macchina che è tutte le macchine, sistema che è tutti i sistemi, non si sarebbe fermata. Di fronte a niente. A nessun costo. Gottschalk-Yutani Oil, il potente braccio per l'estrazione degli idrocarburi aromatici e alifatici, è pronto a perforare, sfruttare, prosciugare.
    Wolverton è costruita sulla verticale diretta del punto geologico nodale dei super-giacimenti del Continente Antartico.
    Wolverton deve risorgere dalle proprie ceneri. Wolverton deve diventare nuovamente l'avanguardia dell'oro nero.
    La Sindrome di Wolverton? Adesso c'è l'Ispettore di Prima Classe Keller a mettere tutto quanto a posto. Non si sarebbero verificate altre stragi. Nè in Antartide nè da nessun'altra parte.
    Beep. Intercom, segnale di chiamata.
    "Keller in linea."
    "Bartolini, dal Meteo. Doc mi ha chiesto di verificare i dati del gradiente UV."
    "Quindi?"
    "Il Polo Sud la barriera dell'ozono s'è l'è giocata da un pezzo, giusto?"
    "A partire dalla Rivoluzione Industriale.” Keller raggiunse il raccordo di transito verso il Blocco Tecnico. Perchè tu e Doc non mi dite qualcosa che non so, Bartolini?"
    "I livelli UV sull'intero quadrante della Stazione Wolverton sono cinque volte sopra il limite critico."
    Keller s'irrigidì sulla soglia del raccordo. Le pareti metalliche erano scavate dal piombo di armi automatiche usate a distanza ravvicinata.
    "Il sole dell'Antartide..."
    Volevano una risposta.
    L'hanno avuta.
    "È stato il sole a bruciare i neuroni all'intero equipaggio di Wolverton" concluse Keller.
    Solo che era la risposta sbagliata, nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
    "Keller, ascolta" intercom invaso dai disturbi "se non ci togliamo da questo cesso ghiacciato in fretta, ma molto in fretta...” incrinata la voce di Bartolini era “il sole dell'Antartide brucerà anche i nostri, di neuroni."
    "Bart" Keller, un sibilo. "Su quale cazzo di frequenza intercom stai trasmettendo?"
    "Ma la solita, quella unificata dellla squad... Merda!"
    "L'hai, detto, Bart" McFarland. "Merda."
    "Alla quinta potenza del cazzo" Kravchenko.
    "D'accordo" Keller al gruppo. "Voglio la squadra al completo in Sala Controllo nel giro di dieci minuti. Ripeto: dieci minuti da ora!"


    Nuove mutazioni.
    Nell'attrattore caotico.
    Radiazione ultravioletta dura, non schermata. È quella la genesi della metamorfosi. Doc ne ha inserito lunghezze d'onda e carichi energetici nella struttura matematica che descriveva la distorsione. Da una qualche regione ignota nella Meccanica del Caos, sorge un nuovo algoritmo. Qualcosa che rende l'attrattore molto più semplice, molto più accessibile.
    Sul video, i tentacoli erano quasi completamente scomparsi, risucchiati all'interno della testa della medusa. L'attrattore caotico assume nuove curvature, nuove torsioni.
    Diventa sempre meno caotico.
    Il respiro di Doc si condensava in piccole nubi livide. Scivolarono a fluttuare sul video simili a un avviso di tempesta.


    "Stazione Wolverton chiama Centrale Gottschak-Yutani di McMurdo. Cambio."
    Statica gracchiava dagli altoparlanti, beffarda risposta dell'etere turbolento.
    "Wolverton a McMurdo. Riuscite a ricevermi? Cambio."
    Gottschalk-Yutani Cybernetics PRC-177. Stato dell’arte delle telecomunicazioni ad alta frequenza.
    "Riprova, Doyle.” La mano guantata di Keller scese sulla spalla dell'uomo seduto alla console. “Forza."
    Trionfo del nulla elettromagnetico.
    "È dal momento in cui McFarland ha ridato corrente che sto riprovando, Keller."
    "Collezionando un buco nel ghiaccio dopo l'altro."
    "’Fanculo, Keller! Perche’ non ci provi tu?” Doyle si strappò la cuffia intercom da sotto il cappuccio del parka. “Nessuno è mai riuscito a trasmettere un cazzo di niente su questo cazzo di continente!"
    Keller diede un calcio alla poltrona girevole. Inchiodò Doyle contro lo schienale, la suola dello scarpone premuta sul plesso solare.
    "Tu stabilirai il contatto con la base di McMurdo, Mr. Doyle. Tu lancerai il segnale di estrema emergenza. Dopo di che, tu verrai in Sala Controllo a confermarmi il tempo stimato di arrivo dell'elicottero EVAC..."
    Keller gli afferrò la gola in una morsa.
    "... Oppure anche tu ti guadagnerai un domicilio perenne in questo cazzo di continente."


    Il vento era aumentato.
    Raffiche a novanta, cento chilometri orari. Vento saturo di cristalli di ghiaccio duri come proiettili. Il portale del bunker era una congelata cassa di risonanza.
    McFarland e Kravchenko avanzarono fino alla porta di comunicazione interna. Kravchenko cercò di ruotare la maniglia d'apertura. Non si mosse.
    "Questo no, merda!..." Spinse con più forza. Niente da fare. "Mac! È inchiodata!..."
    "Il freddo potrebbe aver contratto gli arpionismi."
    “In culo il freddo.” Kravchenko si issò sulla leva. "In culo due volte gli arpionismi."
    "Aspetta..."
    Crack!
    La sbarra di solido alluminio gli si spezzò tra le dita come una bacchetta di vetraccio.
    Sguardi. Uomini nel gelo, occhi dietro occhiali protettivi, immobili nel vento.
    "Keller, qui è Kravchenko. Mi ricevi?"
    Statica.
    "Keller, Mac e io siamo tagliati fuori! La porta del blocco tecnico è danneggiata. Keller? Doyle? Bartolini?... Qualcuno mi riceve, cazzo?"
    Altra statica.
    "Tu rimani qui" McFarland sigillò i bordi del cappuccio. "Attaccato alla radio."
    "E tu intanto dove vai?"
    "Dobbiamo aprire questa porta con le cattive.” McFarland, annui’ verso il mondo esterno, nulla glaciale sferzato dal vento. "Il saldatore laser nel T-meK."
    "Nessuno può più farcela là fuori, Mac!" Kravchenko lo trattenne per un braccio. "L'effetto-vento è a meno settanta Celsius!"
    "Abbiamo scelta?"


    Lo spettro di una voce umana in mezzo al maelstrom della statica. Forse McFarland, forse no. Impossibile dirlo con certezza. Ma era comunque suo preciso dovere controllare.
    Keller arrivò nel corridoio di collegamento con il bunker-rimessa. Condotti di condizionamento squarciati, plafoniere illuminanti esplose, fori di proiettili da tutte le parti. Campo di battaglia dopo la battaglia.
    "Keller?" Non McFarland, Doc.
    "In linea."
    Comunicazione intercom pressochè inintelleggibile. Anche dentro Wolverton la statica era un drago infuriato.
    "Credo sia meglio che tu venga in Sala Controllo."
    Movimento. Verso l'estremità più lontana del tunnel. Lo spettro di un movimento.
    "Sto gia’ venendo in Sala Controllo, Doc."
    "Non tra dieci minuti, Keller: adesso."
    Keller sposto’ sguardo. Illuminazione d'emergenza a basso voltaggio e penombra color indaco. Portello di connessione con il blocco tecnico. Due centimetri di solido acciaio munito di venature radiali d'irrigidimento. Si sta muovendo?
    "Keller, riesci a ricevermi?"
    Il portello parve gonfiarsi. Vela surreale investita da un vento impossibile.
    "Passa alle batterie di emergenza, Doc."
    "Che cosa?"
    Keller and’ ventre sul pavimento. Prese copertura tra due pilastri di cemento armato incrostati di ghiaccio.
    "Commuta sulle fottute batterie, Doc! Fallo ora... Ora!"
    La parte terminale del tunnel esplose come una bomba al napalm.


    L'onda d'urto percorse l'intera struttura della base come un Ottavo Grado Richter. Istantaneamente, calore, luce ed energia scomparvero, risucchiati dal gelo.
    Wolverton, Sala Controllo. Doyle venne scaraventato contro gli strumenti della Sala Radio, spaventapasseri in un tornado. Rovinò a terra. Anche la PRC-177 rovino’ a terra. Si disgrego’ tra eruzioni di schegge. Il quadro elettrico primario si autodistrusse. Doc sussultò all'indietro, furibondi corto-circuiti multipli gli danzarono attorno come elfi maligni.
    La palla di fuoco si dilatò. Respiro incendescente di un drago lungo il tunnel tra il reparto tecnico il blocco principale.
    Keller si insacco’ tra i due pilastri, testa tra le braccia. Sentì il pavimento torcersi verso l'alto. Stalattiti di ghiaccio si vaporizzarono.
    Kravchenko fu il solo a non sentire niente. Il portello del bunker si squarciò in due. La metà superiore, mannaia di metallo arroventato lanciata a velocità supersonica, lo decapitò in un geyser purpureo.


    Stazione Wolverton, centrale di energia, vulcano in eruzione.
    Caldaia, bruciatore, alternatore, quadri comando. Tutto svanito, tutto risucchiato nella furia di tennellate di gasolio ad alto potere detonante in conflagrazione simultanea. Fiamme si torcono nei locali devastati.
    McFarland fu il primo sulla linea del fuoco. Al momento dell'esplosione, si era trovato all'interno del T-meK. Solamente per questo era sopravvissuto. Diresse verso l'incendio i fiotti biancastri di un estintore. Le fiamme torreggiavano davanti a lui, ruggenti, inarrestabili.
    "Mac!..."
    Keller, fantasma avvolto in un parka annerito, bruciato, uscì dal fumo reggendo un altro estintore.
    "Dov'è Kravchenko?"
    "Andato.” McFarland annui’. “Kaputt."
    Annui’ al cranio mozzato di Kravchenko. Globo rossastro rotolato sul portale del bunker, pallone da calcio dimenticato dopo un finale di partita.
    "Quanto gasolio c'era nei serbatoi?" Keller gridava.
    "Oltre trentamila litri." Anche McFarland fu costretto urlare per farsi udire al di sopra del ruggito delle fiamme.
    Continuò a lanciare getti biancastri alla base del fuoco. Inutile. Torrenti di carburante incendiato continuarono a dilatarsi lungo i pavimenti.
    Doc e Bartolini vennero fuori dal fumo che si attorcigliava nel tunnel. Reggevano altri estintori. Barriere di vapori lividi si contorsero da tutte le parti.
    "Non è più controllabile!"
    McFarland costrinse Keller ad arretrare oltre la soglia del secondo raccordo.
    "Dobbiamo sigillare i portelli prima che tutta la dannata stazione finisca in cenere!"
    McFarland diede un colpo di gomito. Mandò in pezzi il vetro del pannello d'emergenza. Doc e Bartolini si ritirarono davanti a un altro attacco del fuoco.
    "Fire in the hole!"
    McFarland pestò sul pulsante dei bulloni esplosivi. Nuova detonazione, nuova onda d'urto. Un setto d'acciaio da mezza tonnellata calò dal soffitto. Il nuovo attacco del fuoco venne tagliato in due.


    "Non ha senso, cazzo!"
    Bartolini addosso’ la schiena contro la parete della sezione isolata. Buttò via l'estintore.
    "Una caldaia semplicemente non-esplode-così!... Merda!"
    McFarland si spinse sulla fronte gli occhiali protettivi, il visore semiliquefatto dal calore delle fiamme. "A meno che qualcuno non voglia che esploda."
    Fumo continuava a permeare il tunnel.
    Doc tossì. "Che cosa intendi, Mac?
    "Semtex."
    "Come dici?"
    "So come s'innesca, so in che modo fa il botto" gli occhi di McFarland incontrarono quelli di tutti loro. “E tutti vediamo quello che si lascia dietro."
    Nel corridoio un silenzio come da sepolcro.
    "Stai parlando di sabotaggio, Mac" Keller.
    McFarland non rispose.
    "Il sabotaggio è solo un effetto collaterale" Doc.
    "Qual è il problema primario?"
    "La Sindrome di Wolverton."


    L'incendio andò alla ricerca di qualcosa d'altro da divorare. Lo trovò. Quadrante dopo quadrante, raccordo dopo raccordo. L'intero settore est della Stazione Wolverton divenne macerie annerite.
    Le fiamme si contorsero sul ghiaccio. L’avanzata della devastazione sfido’ il crepuscolo antartico.


    "Non-può stare accadendo di nuovo, Doc! Non a noi!"
    "Perchè, noi siamo speciali?"
    Bartolini scuoteva il capo da una parte all'altra, un bambino capriccioso incapace di accettare una punizione.
    "Non siamo inchiodati in questo buco da abbastanza tempo per diventare dei maniaci omicidi!"
    "E quale sarebbe il tempo giusto per dare fuori di matto, Bart?" McFarland corrugò la fronte scottata. "Una settimana? Un giorno? Dieci minuti?"
    "Non sto ridendo, Mac!"
    "Nemmeno io. Non con Kravchenko rimasto là fuori, in due pezzi separati."
    "Fatela finita" intimò Keller.
    "Ascoltate, c'è un altro livello di complessità."
    Nel chiarore della singola lampada d'emergenza, il volto di Doc era una maschera rituale.
    "L'isolamento dell'Antartico è il combustibile della follia. Accettato. La radiazione ultra-violetta cinque volte superiore al limite critico è il detonatore della follia. Accettato anche questo. Combina i due elementi, e nella schizofrenia paranoica omicida comincia a esistere una nuova distorsione."
    Keller gli tenne lo sguardo piantato addosso. "Vieni al punto, Doc."
    "Non avete esaminato i corpi? Non vi siete resi conto di come questa gente è stata distrutta? Non sono stati annientati da un unico individuo impazzito. Si sono fatti a pezzi gli uni con gli altri. È questa la nuova distorsione nella Sindrome di Wolverton" Doc contrasse un pugno. "Follia omicida collettiva simultanea."
    “Stai parlando di un... virus.” McFarland, voce priva di qualsiasi inflessione.
    "Doc" Keller, impassibile. "La follia non-è un virus."
    "Forse, alla Stazione Wolverton, lo è diventata."
    "Che cosa cazzo vai farneticando, Doc?" Bartolini, denti che battevano gli uni contro gli altri. “Che sono diventati tutti matti nello stesso momento?”
    "Cerco di spiegarvelo in termini..."
    Doc s'interruppe. Seguì la direzione dello sguardo di Keller. Il tunnel, pavimento disseminato dei detriti, pareti annerite dal fuoco.
    "Dov'è Boyle?"


    Era ancora in Sala Radio.
    Forse stava ancora tentando di comunicare con la centrale Gottschalk-Yutani di McMurdo.
    Forse avrebbe continuato a farlo anche del fondo dell'inferno.
    Giaceva sul ventre, in mezzo ai rottami elettronici della radio distrutta.
    La sua faccia era rivolta verso l'alto.
    La torsione che gli aveva frantumato la colonna vertebrale gli aveva ruotato il volto in asse con la schiena.
    Pareva il volto di uno spaventapasseri fatto di sterpi disseccati.


    "Io...” Bartolini arretrò contro la parete. “Io voglio andarmene di qui!"
    "Non ci vorrà molto." McFarland ricoprì il cadavere di Boyle con un telo di nylon irridito dal freddo. "Niente più calore, niente più elettricità. In meno di un'ora, qui dentro ci saranno cinquanta gradi sotto zero."
    "Io voglio andarmene di qui adesso!"
    "Non dimerticarti scarpe comode. Sono ottocento chilometri di ghiaccio tra Wolverton e McMurdo."
    "Vaffanculo, Mac!"
    Keller fece un passo verso di lui. "Tu esattamente dov'eri al momento dell'esplosione, Bart?"
    "A significare cosa?"
    "Sei stato tu il primo a vedere i dati dell'irraggiamento ultravioletto. Sei stato tu il primo a suonare le Trombe del Giudizio. Sei stato tu il primo e voler mollare tutto. E nel momento in cui il generatore parte, anche noi siamo costretti a partire. O sbaglio?"
    "Di che cazzo stai parlando, Keller?"
    "Boyle era proprio un coglione figlio di puttana, dico bene, Bart?" Keller continuò ad avanzare verso di lui. "Non è stato nemmeno capace di lanciare un fottuto SOS, dico bene, Bart? Un'inutile cazzata averlo attorno... Dico bene, Bart?"
    "Non mi freghi, Keller!"
    Bartolini le spianò la Glock 9mm dritta in faccia.
    "Bartolini!" Doc estese entrambe le mani, palme completamente aperte. "Non farlo!"
    La bocca da fuoco si spostò su di lui. "Fatti i cazzi tuoi!" Si spostò di nuovo su Keller. "Io dico che sei stata tu a spezzare il collo a Doyle!"
    "Davvero? E quando lo avrei fatto? Forse mentre piantavi il Semtex per distruggere tutto?"
    "Tu starai lontana da me, Keller" Bartolini rinculò verso la porta della sala radio. "Tutti voi starete lontani da me."
    "Non esiste nessun posto in cui scappare, Bart" la voce di McFarland era più fredda del ghiaccio. “Non te ne sei ancora accorto?”
    "Con il T-meK esiste!"
    "Il T-meK è minato."
    "Di che cosa cazzo parli, Mac?"
    "Semtex. Lo stesso che ha fatto il servizio alla centrale di energia. Tu prova a metterlo in moto, Bartolini, e arriverai a McMurdo sulle ali del vento."
    La Glock si allineò sulla mezzo della fronte di McFarland. "Stai mentendo!"
    "Ho dato io l'ordine" lo imbeccò Keller. "Niente entra a Wolverton. E niente esce da Wolverton. Sei stato tu a costringermi."
    Bartolini le puntò nuovamente la Glock in faccia. "Io ti avrei costretto a condannarci tutti a morte?"
    "Esatto. Nella frazione di secondo in cui hai parlato della radiazione ultravioletta intensificata."
    "Ti rilevo dal comando, Ispettore Keller" l'indice di Bartolini si contrasse sul grilletto. "Al piombo!"
    La destra di Doc volò alla fondina al fianco, estrasse, allineò il tiro. Fu rapido. Non piu’ rapido di un 9mm Parabellum. Bartolini fece fuoco. Tre, cinque, otto colpi. Talmente ravvicinati da sembrare un'unica raffica. Doc sussultò sotto gli impatti multipli. Cadde all'indietro in una nube di sangue.
    Keller e McFarland si gettarono al coperto. Altro piombo volò su di loro. Fontane di schegge vorticarono dagli strumenti inservibili.
    Keller estrasse, aprì il fuoco da terra. “Indovina, figlio di puttana!” Punteggiò la ritirata di Bartolini con un’altra grandine di 9mm. "Libera uscita revocata!"
    I proiettili scavarono crateri contro la paratia a lato dell'ingresso, fuori bersaglio. Keller schizzò in piedi, scattò verso la porta.
    "Keller! No!” McFarland allungò un braccio per fermarla. “Non andare!"
    Keller svanì nella penombra gelida del tunnel.


    "Caos..."
    "Non tentare di parlare, Doc."
    McFarland gli aprì il parka sul torace sussultante. Tutto quello che c'era sotto era fradicio di sangue.
    "Non più... caos..." altro sangue gorgogliò fuori dalla bocca di Doc. "Diventato... stabile..."
    "Vado a prendere le unità di plasma."
    "Tardi... troppo... tardi... imparato... replicarsi..."
    McFarland gli sostenne il capo, gli passò una pezzuola sulle labbra. "Doc, che cosa ha imparato a replicarsi?"


    Il vento sapeva di basalto carbonizzato, combustione tossica, idrocarburi disintegrati.
    Keller avanzò nell'aria torbida, Glock in presa bassa a due mani. Sopra di lei, dietro di lei, il fumo dell'incendio trasformava il sole antartico in una palla violacea. Un disco dai contorni distorti, dalla luce malata.
    Nella foschia avvolgeva la terra di nessuno fuori della Stazione Wolverton. Qualcosa lampeggiò, molto più rapido di un battito di ciglia. Keller rotolò sul ghiaccio. Geysers cristallini eruttarono a un palmo da lei. Altre schegge si persero nel vento.
    Bartolini era sagoma evanescente in fuga nella tormenta.
    Keller vuotò tutto il caricatore da 9mm.
    La sagoma non cadde, non rallentò. Bartolini fu a quindici metri dalla massa del T-meK, dieci metri, cinque. Arrivò contro la corazza, iniziò a scalarla.
    Keller espulse il caricatore vuoto, ne inseri’ uno pieno. Il vento le portò lo schianto della botola del tank. Keller si rimise in piedi. Non gli avrebbe permesso di andarsene, a nessun costo. La turbina di propulsione si avviò. Un sibilo che arrivò a coprire l'ululato della tempesta.
    "Keller! Giù!..."
    McFarland. Le arrivo’ addosso come un attaccante di sfondamento. La trascinò nuovamente al suolo. Si mise su di lei, insacco’ le teste di entrambi tra i gomiti.
    L'esplosione che squarciò il T-meK fece tremare il ventre stesso del ghiaccio.


    "Bartolini aveva visto giusto."
    Keller spostò lo sguardo. Della carcassa avvolta dal fuoco a McFarland.
    "Qualcuno ci ha realmente condannati a morte. Solo che sei stato tu a farlo, McFarland, non io."
    "Ci siamo condannati a morte da soli, Keller. Non avremmo mai dovuto calarci in quest'ossario di ghiaccio."
    Erano tra le rovine del bunker, sventrate dall'esplosione del gruppo elettrogeno. Riparo inutile, rifugio terminale. Tentavano di assorbire il calore emanato dai pochi punti di fiamma che finivano di divorare Wolverton.
    "Risparmiami la filosofia da cesso, McFarland! Non ti ho mai ordinato di piazzare l'alto esplosivo sul gatto delle nevi. Non ti ho mai ordinato di calcellare il nostro unico modo per uscirne."
    "Allora non avresti dovuto stare al gioco."
    "Ero certa che tu stessi bluffando."
    "Mai essere certi di niente. Non a meno cinquanta Celsius. E non di fronte a qualcosa come la Sindrome di Wolverton."
    Keller strinse i denti. "Doc?"
    McFarland scosse il capo. Il vento gelido era intriso del lezzo della combustione.
    Keller esalò a fondo. Indicò oltre il fumo degli incendi. Cordigliere di basalto s'innalzavano sull'orizzonte desolato e livido dell'Altopiano Sohm.
    "C'è un radiofaro di Econ-Com alla base del Red Horn Pike."
    "Ci sono anche trentaquattro chilometri di gelo e voragini fino al Red Horn Pike." McFarland accenno’ al cielo sempre piu’ scuro. "E tra non molto sarà notte."
    "Nessun problema, Mac." Keller scavalcò il cadavere decapitato di Kravchenko come se fosse stato un mucchio di stracci. "Tu resta pure in questo... ossario di ghiaccio."
    McFarland la osservò varcare l'occhiaia cieca della porta, strappata via dall'onda d'urto.


    Qualcosa brillava nelle tenebre della Sala Controllo.
    Keller depositò nel corridoio devastato lo zaino carico di equipaggiamento. Si diresse verso le deboli luci azzurre che pulsavavano dietro il quadro elettrico distrutto.
    Il terminale, l'unico terminale superstite nell'intera Stazione Wolverton, è ancora ancora attivo. Doc è effettivamente riuscito a commutare sulle batterie d'emergenza prima che l'esplosione spingesse tutto nel baratro. Tutto e tutti.
    Keller si protese verso il monitor. Il programma nello Spazio delle Fasi aveva concluso il proprio ciclo. La metamorfosi era completa. L'attrattore caotico ha cessato di esistere. Ha assunto la configurazione conclusiva. Non è una medusa, non lo è mai stato.
    È una struttura molecolare a doppia elica.
    Estesa verso l'infinito.
    Ha un nome.
    DNA.
    Una distorsione del DNA umano.
    Oltre il limite critico del non-umano.

    SINDROME DI WOLVERTON
    DNA MUTAGENO
    CONFIGURAZIONE STABILE

    Click-clack!
    "Allontanati da quel terminale, Keller."
    Keller si voltò. Con estrema lentezza. McFarland, fucile a pompa calibro 12 imbracciato. La della bocca da fuoco come una caverna.
    "Hai fatto saltare tu il generatore e la caldaia" riprese McFarland. "Hai spezzato tu il collo a Doyle. Ci hai tagliati fuori tu dal mondo esterno."
    "Mi stai puntando un'arma addosso, McFarland."
    "Non avevi alternativa, giusto, Keller? Perchè tu sai. Fin dal principio."
    "Sapere cosa, McFarland, che sei un assassino psicopatico?"
    "Doc aveva la risposta. La Sindrome di Wolverton si è evoluta a livello genetico: è diventata un virus. E si propaga come un virus."
    "E dimmi, Mac, chi infetterai con questo virus?" Keller gli sorrise. "Dove diffonderai l'epidemia della follia omicida collettiva?" indicò a braccio teso una direzione ignota. "Là fuori, forse, sul ghiaccio?"
    "Nessuna epidemia, Keller" McFarland spostò il dito sul grilletto. "Nessuno torna a casa."
    Crrraaccckkk!
    Proiettili ad alta velocità. Raffica mutlipla incrociata.
    Investì McFarland simultaneamente alla schiena e alla gola.
    Keller andò ventre a terra. Sangue volo’ tutto attorno a lei, simile a un sprinkler da incubo.
    I due uomini sulla soglia della Sala Controllo continuarono a fare fuoco. Seguirono il corpo di McFarland nella sua caduta sussultante sotto gli impatti.
    In un ultimo spasmo di nervi già morti, il suo indice si contrasse sul grilletto del calibro 12. La bordata di pallettoni d'acciaio centrò in pieno il terminale.
    La doppia elica del DNA mutageno stabile svanì nel vortice dell'implosione catodica. Come se non fosse mai esistita.
    Come se la Sindrome di Wolverton non fosse mai esistita.


    "Ispettore Keller! È colpita? Ispettore!..."
    "In linea."
    L'aiutarono a sollevarsi dal pavimento pieno di detriti, cosparso di bossoli ancora fumanti, allagato di sangue.
    Uomini bene addestrati, bene armati, pronti a fare ciò che doveva essere fatto. Lo scudo d'acciaio al titanio con l'emblema di Gottschalk-Yutani, l'ellisse tagliata in diagonale da una folgore, scintillava sulle loro tute di volo multistrati.
    "Capo-Pilota Lenz." L'uomo alla sinistra di Keller chinò seccamente il capo. "Il mio partner, Sottocapo-Pilota Rivas."
    "Centrale di McMurdo?"
    "È esatto, ispettore. Abbiamo raccolto il vostro SOS. Che ne è del resto della squadra?"
    Keller si liberò dell'appoggio dei due uomini. "Sindrome di Wolverton."


    Gli incendi si stanno nuovamente disgregando.
    Poche lingue di fiamma si ostinano a emergere dalle rovine devastate, ultimi fuchi fatui nel cimitero dissacrato. La salma incenerita della Stazione Wolverton è pronta. Ora potra’ giacere definitivamente nel ventre profondo del ghiaccio.
    "Il Supervisore Capo Neff è pronto a venire in volo a McMurdo" dichiaro’ Lenz. "Vuole avere il suo rapporto in persona, Ispettore Keller. Vuole capire che cosa ha portato a... Tutto questo."
    Keller continuò a muoversi. Il grosso elicottero Sky-Dragon incombeva sulla piattaforma di atterraggio. I due piloti la seguirono a qualche passo.
    " Il Supervisore Capo Neff capirà."
    "Ma lei" Lenz esitò. "Conosce la risposta, Ispettore Keller?"
    "La Sindrome di Wolverton è un dialogo" Keller rispose senza voltarsi. "Con il lato oscuro della coscienza."
    "Il lato oscuro..."
    "Un luogo del tutto privo di limiti. Lei sapeva che io sono dotata di brevetto di pilota, Lenz?"
    "No."
    "Ora lo sa."
    Keller estrasse la Glock. Gliela puntò dritta in faccia. Tirò il grilletto.
    Sangue cerebrale arrivò ad affrescare il visore del casco di Rivas.
    Keller arretrò, spostando l'angolo di tiro. Proiettili a espansione penetrarono nel ventre, nel torace, nel cranio di Rivas.
    Keller continuò a fare fuoco fino a quando entrambi i corpi sul ghiaccio non ebbero smesso di contorcersi.
    "Ora quel dialogo può continuare."
     
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    Nessuno è mai fuggito da un cimitero-Non c'è discesa dal golgota

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    Eclisse
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    Wow,letto tutto d'un fiato,ora lo salvo e lo rileggo....cazzo figata...
     
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  3. Alan Wolf
     
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    Un'altra perla da conservare gelosamente :B):
     
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  4. david h. stark
     
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    D image avvero un bel regalo......
     
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  5. Solomon Newton
     
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    L'avevo gia letto su Io Robot.

    Stupendo veramente. Russ, non è che si potrebbe chiedere al maestro se un giorno, anche in un fututo remoto potrebbe farci avere una copia del racconto pubblicato nel 2005 su Giallo Sole edito da Mondadori?

    Non vorrei essere maleducato ma orami sono ridotto a leggere i piè pagina dei suoi libri, pur di leggere Altieri... :lol:
     
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  6. Russell Kane
     
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    CITAZIONE (Solomon Newton @ 11/1/2007, 12:25)
    L'avevo gia letto su Io Robot.

    Stupendo veramente. Russ, non è che si potrebbe chiedere al maestro se un giorno, anche in un fututo remoto potrebbe farci avere una copia del racconto pubblicato nel 2005 su Giallo Sole edito da Mondadori?

    Non vorrei essere maleducato ma orami sono ridotto a leggere i piè pagina dei suoi libri, pur di leggere Altieri... :lol:

    No figurati, tu pensa che io leggo George R.R. Martin come surrogato...appena posso gli giro la domanda, ma magari i racconti sparsi sulle varie antologie (Giallo Uovo, Giallo Natale ecc. ecc.) finiranno in quella antologia di cui ci parlava!
     
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  7. theswordman
     
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    Grazie! Questo pezzo mi mancava, lo considero un regalo. Spero davvero che il "nostro" faccia uscire presto l'antologia a cui si è accennato, ha lasciato troppe gemme sparse in giro. :P

    A questo proposito, esiste una lista dei racconti o contributi lasciati dal boss ingiro per l'Italia?
     
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  8. Alan Wolf
     
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    L'ho letto ieri sera con calma... non ho parole :751.gif:
     
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  9. L_Dexter
     
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    ciao,

    come sempre, sia che si tratti di un breve racconto che di un lungo romanzo, il Nostro sa come catturare l'attenzione del lettore e tenerlo inchiodato davanti

    non so a voi ma a me leggendo è venuta in mente una cosa.... Carpenter :lol:

    a chi altro?

    miao
    Dex
     
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  10. Alan Wolf
     
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    Non ci avevo pensato, ma ora mi hai dato la scintilla d'accensione... verissimo! :smilies7.gif:
     
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  11. L_Dexter
     
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    ciao,

    mi sono tolto lo sfizio Wolf, e penso che come curiosità possa starci per tutti... eh eh

    La base Wolverton e l'Outpost31 del film di Carpenter non sono affatto vicini, ma andiamo per ordine

    innanzitutto una doppia immagine con le maggiori basi americane e l'esatto punto della base Wolverton tramite google earth:
    image
    Clicca x ingrandire


    la sovrapposizione delle due:
    image
    Clicca x ingrandire (qui siamo abb. vicini ad un paio di installazioni realmente esistenti)


    Infine il confronto tra la posiz. della base Wolverton e l'Oupost31 di Carpenter con alcuni altri punti interessanti:
    image
    Clicca x ingrandire (come si vede sono parecchio lontane, quindi non è da qui che è nato spunto x le coordinate)

    ultima curiosità, spulciando (un po' velocemente in effetti) ho scoperto una stazione metereologica situata a:
    84° 19' S
    152° 10'E

    non siamo poi lontanissimi stavolta ;)
    Se qualcuno trova di meglio posti pure :wub:


    mi rimane quindi la curiosità se Alan ha tirato una monetina a caso per le coordinate oppure se ha trovato qualche riferimento specifico e se sì, quale

    miao
    Dex


    P.S.
    nota a margine per chi ha apprezzato il film di Carpenter: Qui - Click me! c'è un sito interamente dedicato al film e devo dire che lo trovo ben curato
     
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  12. Russell Kane
     
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    A lasciarmi senza parole ce ne vuole, ma ci sei riuscito :B):

    Da chiedere nella prossima chat:)
     
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  13. Alan Wolf
     
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    CITAZIONE (L_Dexter @ 12/1/2007, 15:33)
    mi sono tolto lo sfizio Wolf, e penso che come curiosità possa starci per tutti...

    Per copiare un po' l'Ammiraglio Thrawn:

    Eccellente, Dex, eccellente... :B):
     
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  14. Solomon Newton
     
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    Dex... di la verità... tu fai parte della DIA, non è vero? :B):
     
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    Dex,sono senza parole .....bravo...
     
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